Se è vero che all’interno delle famiglie la violenza nella relazione genitori-figli è una realtà sempre esistita, è certo che recentemente questa ha cambiato la sua forma. Le punizioni corporali, quali l’uso della cinghia o del bastone, non sono più considerati strumenti adeguati per educare, tuttavia ancora oggi i genitori ricorrono spesso e non sempre consapevolmente, a forme di violenza fisica o psicologica, perché sono modalità di relazione socialmente tollerate.
Tutti i genitori sperimentano nella relazione con i figli sentimenti intensi, quali la perdita del controllo di fronte a provocazioni o comportamenti ostinati, il senso di impotenza di fronte all’ingestibilità del proprio figlio – specie se in pubblico – la paura come reazione a comportamenti con i quali il bambino si mette in pericolo. In alcune fasi di sviluppo dei bambini, i genitori si trovano quotidianamente a dover gestire le emozioni che queste situazioni scatenano.
A differenza dei luoghi comuni, che attribuiscono al padre la maggiore tendenza ad utilizzare comportamenti violenti per l’educazione dei figli, è importante sapere che spesso anche la madre si relaziona con loro attraverso modalità violente, più o meno consapevoli. Di solito è lei la persona che, sin dalla nascita, dedica più tempo al bambino, occupandosi della sua cura ed educazione, sovente in contemporanea all’attività lavorativa. Inoltre in famiglia, normalmente, la madre è la persona sottoposta a maggiore stress per l’accudimento dei figli e pertanto è la figura più esposta al rischio di attivare nei loro confronti comportamenti violenti.
Le conseguenze del maltrattamento sui bambini, specie se ripetuto e prolungato, sono ormai note in letteratura. Il primo passo per interrompere la violenza è imparare a riconoscerla – anche nelle sue forme meno evidenti – nelle diverse fasi di sviluppo del bambino.
Con la nascita di un figlio i genitori (generalmente in particolare la madre) sono sottoposti ad una fatica fisica – specie per l’interruzione o privazione da sonno – e ad uno stress emotivo collegato a preoccupazioni e a paure che riguardano la nutrizione (per esempio le difficoltà nell’allattamento al seno o il rifiuto del latte artificiale), la crescita (peso, lunghezza, circonferenza cranica) e più in generale la salute di un essere umano così piccolo.
In questa fase il maltrattamento nei confronti dei neonati, tema di cui malvolentieri si parla, avviene soprattutto in reazione alla stanchezza, al senso di impotenza o inadeguatezza (ad esempio di fronte al pianto prolungato) che favoriscono nervosismo e aggressività tra la coppia ma anche nei confronti del bambino. Gridargli e scuoterlo sono solo alcuni esempi di azioni-reazioni violente che possono riguardare la relazione genitori-figli neonati.
Con l’inizio dello svezzamento, non deve essere sottovalutata la frequenza di azioni violente agite dai genitori (anche in questo caso generalmente soprattutto da parte della madre) nei confronti del bambino che non collabora o si rifiuta di mangiare. Esempi sono: infilare a forza il cucchiaino in bocca o tenergliela aperta per riempirla di cibo, colpirlo o urlargli perché allontana ripetutamente e bruscamente il piatto, perché rovescia volutamente l’acqua dal bicchiere, o perché getta a terra gli oggetti. A muovere tali agiti è la paura ancestrale di non riuscire a nutrire la propria prole. Spesso su queste reazioni incide la fretta di raggiungere l’obiettivo dello svezzamento secondo tempi prestabiliti, per motivi di organizzazione del lavoro e di impegni familiari, non riconducibili alle necessità del bambino.
Il figlio crescendo inizia a manifestare la propria volontà e quindi la propria contrarietà, se non è d’accordo con ciò che gli viene richiesto. Le tensioni descritte per quanto riguarda il momento della pappa (“mangia!” – “non voglio mangiare!”) iniziano a presentarsi sempre più spesso in altre occasioni, nella stessa giornata e su molteplici argomenti: oggetti con cui poter giocare, luoghi dove stare, igiene, abbigliamento, ecc. È iniziata la “fase dei no”che di solito ha il suo apice tra i 2 e i 3 anni. I rischi di utilizzare urla e altri comportamenti violenti per gestire queste situazioni aumentano.
Un altro tema attorno al quale talvolta i genitori attivano forme di violenza è l’uso del vasino, che come l’alimentazione è una situazione che di fatto non può essere sottoposta al loro controllo, poiché richiede l’espressione della volontà del bambino. Obbligarlo a stare seduti sul vasino “a comando” e per tempi prolungati, quando il bambino non è ancora pronto, o manifestare reazioni violente quali urla, minacce, punizioni, perché l’evacuazione non è avvenuta secondo le modalità volute, sono solo alcuni esempi di forme di violenza non sempre consapevoli.
Soprattutto durante i primi anni di sviluppo del bambino (ma anche dopo) sono molteplici i momenti e i motivi per cui i genitori possono trovarsi ad agire azioni-reazioni violente nei confronti dei figli. Accettarle come inevitabili, o ritenerle funzionali dal punto di vista educativo, rappresentano modi di legittimare forme di maltrattamento all’interno della famiglia.
Se il primo passo per l’interruzione di comportamenti violenti è il loro riconoscimento, il secondo è imparare a sperimentare nuove modalità di relazione con i propri figli, in funzione dell’età. Per raggiungere tali obiettivi, spesso sono utili consulenze, anche brevi, con professionisti del settore educativo. Altre situazioni invece, per essere modificate, necessitano di un percorso di sostegno alla genitorialità specifico, costruito in base alle difficoltà di relazione riscontrate. La durata dell’intervento varia soprattutto in funzione della capacità dei genitori di mettersi in gioco attivamente.
La famiglia può informarsi autonomamente, presso consultori pubblici o privatamente, rivolgendosi ai professionisti del settore educativo che, qualora lo ritenessero necessario, li metteranno in contatto con altri professionisti quali medici e psicologi.
* Cinzia Leone è pedagogista, esperta in processi formativi ed educativi, Responsabile pedagogica del Centro LiberaMente di Genova. Lavora da molti anni, anche a livello istituzionale, con i minori e le loro famiglie. Per informazioni o per fissare un appuntamento, contattate il Centro LiberaMente ai recapiti che trovate cliccando qui o scrivete all’indirizzo cinzia.leone@centroliberamente.com