Dott.ssa Tamara Mesemi
psicologa psicoterapeuta, responsabile area clinica del Centro LiberaMente.
Questo lavoro rappresenta un’ipotesi d’intervento che s’inserisce in una più ampia panoramica sulle tematiche dell’abuso e del maltrattamento infantile. Esso ha l’intento di gettare uno sguardo, se pur generale ed incompleto, alle tematiche in questione, in particolare all’area riservata all’intervento e alla possibilità di recupero del bambino abusato e della famiglia maltrattante.
Il modello di intervento secondario che segue, adatto nei casi di abuso infantile intrafamiliare da parte del nucleo originario, evidenzia gli elementi indispensabili alla presa in carico, al sostegno e al recupero del bambino abusato e della famiglia coinvolta. Il modello di seguito proposto è rappresentato graficamente da un sole centrale, il bambino stesso (simbolo della vita contro il senso di “non esistenza” del bambino abusato) i cui raggi, che rappresentano le dimensioni gravitanti attorno al bambino (contesto familiare, sociale, scolastico, sanitario, terapeutico, giudiziario, educativo) permettono la mobilitazione delle energie e delle risorse cognitive ed emotive.
L’intervento può situarsi immediatamente dopo la fase diagnostica, ossia di rilevazione dell’abuso, di valutazione medica, sociale e psicologica del bambino e del contesto familiare al quale appartiene, evidenziando la forte connessione tra realtà diagnostica e momento dell’intervento, fasi intercorrelate del progetto concreto che si delinea intorno al caso.
Il progetto prevede una presa in carico globale e multidimensionale, che permette il ripristino di ogni singolo spazio di vita del bambino, partendo da lui stesso, dalle sue emozioni, dalla sua sofferenza, per considerare la dimensione vitale completa.
Il modello si basa su interventi multidisciplinari in rete che coinvolgono l’individuo e le altre figure: non il singolo trattamento, dunque, bensì l’estensione del recupero ad ogni spazio di vita del bambino.
Il coinvolgimento delle figure che gravitano attorno al bambino, familiari, amici, compagni di scuola, insegnanti, fa parte integrante del progetto, riportato graficamente nella figura che segue.
L’intervento è finalizzato al recupero del bambino abusato e della sua famiglia, ed è contraddistinto da una duplice matrice di natura sia psicologica, sia sociale, in quanto l’iter interventistico ha la necessità di considerare contemporaneamente momenti riguardanti le istanze psicologiche delle persone coinvolte nell’abuso e le problematiche a carattere giuridico-sociale.
La progettazione di un intervento di questo tipo si situa, dunque, in un contesto multivariato che implica un processo di conoscenza e di mappatura delle risorse esistenti, non solo a livello individuale e familiare ma, in una visione più ampia, anche a livello comunitario e territoriale, in termini di offerta dei servizi e possibilità concrete di attualizzazione del recupero.
Gli step progettuali, anche quelli maggiormente orientati all’intervento sulla persona, riguardanti prevalentemente l’ascolto empatico del soggetto abusato o l’avvio psicoterapeutico individuale e familiare, sono fortemente influenzati dal contesto sociale in cui si realizzano. Per questo motivo il progetto d’intervento può essere pensato solo alla luce di un profondo e complesso raccordo con le realtà locali dei servizi e delle strutture presenti sul territorio, nonché con le realtà giuridiche che necessariamente entrano in gioco.
Il contesto è a carattere psicosociale e vede l’intersecarsi di aree e competenze diverse. Ad esempio, la presa in carico del bambino può riguardare i servizi territoriali, con la loro autonomia funzionale, ma a loro volta coinvolti e vincolati dalla supremazia giuridica che ordina e dispone.
La consapevolezza e la conoscenza approfondita della cornice contestuale che fa da sfondo al progetto d’intervento è dunque, in primis, lo strumento fondamentale per lo svolgimento del programma e per la valutazione in itinere e finale dello stesso.
Il lavoro di rete diviene il presupposto fondamentale del progetto. Ogni elemento del modello deve necessariamente connettersi agli altri, in nome di un lavoro integrato e globale, ove si riconosca il valore aggiuntivo che la rete rappresenta rispetto al singolo intervento. Al contempo le risorse dei singoli interventi sono rilevanti, per cui ogni cambiamento ed evoluzione della singola parte crea cambiamento all’intero sistema.
In questo contesto di relazioni circolari occorre avere una comunicazione chiara, ben definita e non paradossale. Gli aspetti comunicativi nel lavoro di rete rappresentano il punto centrale per la riuscita dell’intervento. Lavorare da un punto di vista multiprofessionale, per una presa in carico globale, è importante per garantire un intervento che comprenda il più possibile tutti i contesti di appartenenza del bambino e della famiglia.
Lavorare con l’abuso e il maltrattamento infantile significa lavorare con il dolore annientante, che mina l’essere nel nucleo più profondo lasciando un forte senso di “non esistenza”. Occorre acquisire la capacità di tollerare emozioni e sentimenti molto angoscianti ed instabili, fortemente contrastanti con gli ideali interiorizzati di famiglia protettiva e necessariamente buona.
Risulta difficile teorizzare, trovare paradigmi e approcci universalmente riconosciuti. Tutto è connesso alla specificità dei contesti, agli individui coinvolti, ai sistemi che si sono creati.
La prospettiva intersoggettiva non deve mai essere trascurata, a prescindere dall’approccio specifico al quale fanno riferimento i singoli operatori, ma è altresì importante non fermarsi ad essa ed integrare la parte contestuale, che vede il soggetto/individuo calato nella comunità e strettamente interconnesso ad essa.
L’emarginazione sociale e l’indebolimento delle reti sociali di chi fa o subisce violenza, causa a feedback l’isolamento degli individui. Anche per tale ragione, in situazioni di maltrattamento, abusi o violenza, è necessario pensare al plurale, mettendo in gioco risorse private e pubbliche, proficuamente connesse.
L’obiettivo alla base di ogni possibile intervento di prevenzione secondaria dovrebbe focalizzarsi essenzialmente non “sul trauma”, ma “con il trauma”, andare quindi oltre l’evento doloroso e i suoi effetti, per scorgere altre prospettive, altri significati, rilevando risorse che sono insieme individuali, familiari, sociali, in ottica non più lineare ma circolare.
* Per informazioni o per fissare un appuntamento, contattate il Centro LiberaMente o scrivete all’indirizzo tamara.mesemi@centroliberamente.com